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Lo sport è vettore naturale di valori. Uno di questi, quando le persone si sacrificano per un obiettivo comune, è la gratitudine.

Così i coach ringraziano gli atleti dopo lo sforzo, così gli atleti ringraziano coach e società quando pongono su di loro fiducia e risorse economiche.

A fine stagione, capita anche che le strade si dividano e giocatori prendano il volo anche se ritenuti leader in campo. Anche i capitani possono prendere altre strade. Compito della società sportiva, a quel punto, è comunicare al meglio la notizia.

Tra i vari motivi ce ne sono due imprescindibili:

  1. la società sportiva deve essere grata con l’atleta di essere stato il simbolo della società. Essere capitano è certamente un onore, ma anche l’impegno che questi atleti mettono nel essere immagine della società in campo e fuori dal proprio ambito naturale (non sempre ci si sente a proprio agio davanti ai microfoni e ai taccuini) e qualcosa che la società ha il dovere di riconoscere. In caso contrario la pessima nomea comincerà a farsi tra gli atleti, di una società ingrata verso chi ne è il simbolo. Se poi l’atleta è cresciuto e vissuto sempre nella società sportiva da 10 anni o più allora, il non farlo diventa un peccato capitale.
  2. la società sportiva è portatrice di valori. Spesso lo afferma a parole sui post o nelle pubblicazioni (comunicati stampa, sito web, presentazione per gli sponsor), se però alla prova dei fatti con le persone che più di ogni altra sono l’anima della società questo non viene dimostrato nei fatti, allora la menzogna è presto scoperta.

Purtroppo, anche recentemente l’ho visto accadere in società di serie A del proprio sport di riferimento, realtà sportive che dovrebbe essere professionali e gestite da professionisti. Questo accade per due semplici motivi:

  1. o i manager non credono ai valori che propongono. (wearefamily e simili vi ricordate? ne ho parlato qui)
  2. o la società non è gestita bene ovvero da professionisti. Si preferisce il giovanotto part-time che costa poco ed è un perfetto “yesman” anzichè il professionista che può anche avere idee differenti dalla gestione classica e che nel porre un cambiamento drastico può mettere in crisi le più alte sfere della dirigenza.

Alla fine la pessima nomea se la fa sempre la società sportiva.