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Molti sono gli eventi che si organizzano nello sport internazionale e che capitano in Italia.

Organizzati in modo ripetuto per più anni o per un anno soltanto, sono sempre caratterizzati dalla presenza di una “Casa Italia” o del “made in Italy”, un luogo dove le televisioni possono intervistare gli atleti; le aziende sponsor e dirigenti sportivi possono intrecciare dialoghi di business.

Il problema è che sono luoghi ad accesso per pochissimi, dei veri club esclusivi, questo è un errore molto importante che altrove non viene fatto. Nel 2006 alcune nazioni aprirono le loro case durante le Olimpiadi di Torino e a distanza di 20 anni ancora se ne parla, vengono alla mente ricordi di eventi e sponsor presenti.

La “Casa” è di per sè un luogo di ospitalità e accoglienza, questo significa che deve essere aperta a tutti coloro che si identificano con quella identità. A “casa Annunziata”, per esempio, entrano tutti i miei parenti ed amici, parimenti a “Casa Italia” dovrebbero poter entrare tutti gli Italiani, ma non vedo perchè non creare uno spazio aperto a tutti dal momento che stiamo ospitando un evento e tutti gli intervenuti sono nostri ospiti. Se si organizza una festa aperta al mondo, non vedo perchè poi renderla esclusiva.

Uno spazio quindi, dove poter permettere agli italiani di sentirsi orgogliosi dell’organizzazione di un evento sportivo, e per gli stranieri un luogo dove poter respirare l’eccellenza italiana.

Invece viene creato uno spazio che diventa un luogo per pochi, che potrebbe anche esserci nel caso da me proposto, ma come parte di qualcosa di più ampio. Al tifoso, veder passare un campione o un presidente di federazione può essere un’emozione importante da ricordare, una foto ci scappa sempre.

Dobbiamo avvicinare i tifosi e non tenerli lontani, più sono di nicchia gli eventi più dovrebbero essere inclusivi.