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Partiamo dalle parole di Arrigo Sacchi per delineare il roboante contesto:

“Prendiamo la professione dell’allenatore. Perché, per fare questo mestiere, gli ex giocatori di Serie A o di B devono essere avvantaggiati rispetto agli altri? Ci sono pochi posti alla scuola di Coverciano ed è necessaria una selezione? Benissimo, si faccia sostenere un serio esame d’ingresso: solo chi merita può entrare. Dove sta scritto che un farmacista o un idraulico, che hanno la passione per il calcio, lo seguono e lo studiano con impegno da tanti anni, saranno allenatori meno bravi di un calciatore? Liberalizziamo, eliminiamo il corporativismo, spalanchiamo le porte, apriamoci al futuro. Sapete che cosa succede se gli allenatori sono sempre ex calciatori? Che, nel migliore dei casi, ripropongono idee che hanno imparato quando giocavano da allenatori che, a loro volta, le hanno riprese dai loro vecchi maestri. È una ruota che gira e non si ferma mai, ma il suo è un movimento vizioso: così non si progredisce, perché le idee sono sempre le stesse e non c’è innovazione, non si migliorano le conoscenze e, logicamente, non si raggiunge la bellezza, il divertimento, il momento sublime dell’arte che il calcio può (e deve) dare”.

Il discorso è speculare per il management. Quanti sono gli ex giocatori di calcio nelle società calcistiche? Quanti di basket e volley nelle realtà di quello sport? Etc.

I risultati sono davanti ai nostri occhi, le società sportive sono indietro nell’evoluzione verso modelli di business rilevanti, non fanno utili perchè ex-giocatori penseranno sempre che la parte sportiva è più rilevante della parte gestionale, arrivano da lì e compiono gli stessi errori di valutazione che hanno visto fare dai loro dirigenti quando giocavano, propongono un modello di gestione fallimentare e vecchio.

Aprire le nostre realtà sportive a consulenti specializzati, dirigenti competenti nella materia e capaci di innovare, perchè provenienti da altre realtà fa la differenza. L’esempio in questo ci viene dalla NBA, negli anni Settanta cambiò grazie allo “Showtime” dei Lakers, ma perchè ciò accadde? Perchè il management di allora, venendo dai locali notturni, volle trasferire il concetto di divertimento e di festa dai night al parquet. La contaminazione ha portato alla NBA degli anni Novanta e al boom da essa generato. Finchè il basket ha parlato a se stesso non ha dato nulla di innovativo, dopo è diventato il campionato più seguito al mondo.