Si sono conclusi da pochissime ore i campionati del mondo di calcio del Qatar.
Sicuramente, al di là delle considerazioni personali, saranno un caso studio che dovrà essere analizzato a fondo e che ha molti aspetti interessanti per chi fa sport marketing e sport management
Ha fatto discutere molto il fatto che venga giocato d’inverno con calendari stravolti, e possibili risultati falsati da eventuali infortuni dei calciatori presenti ai mondiali, per non parlare della forma di chi è restato a casa.
Ma il vero problema è l’aspetto politico del Qatar, non certo la culla dei diritti umani. C’è chi sostiene un miglioramento delle condizioni di vita grazie alla manifestazione sportiva, chi denota il permanere di una mentalità disumana per i canoni occidentali.
Certamente non sono un buon biglietto da visita l’enorme numero di vittime durante la costruzione degli stadi e le affermazioni degli apparati statali a giustificarne la situazione ( memorabile in tal senso l’affermazione di un ministro che ha detto: “si deve pur morire a questo mondo”); ma ancora peggio è stato il comportamento all’interno degli stadi e verso i tifosi di tutto il mondo.
Non entriamo nella questione dei finti tifosi, poco chiara e dai contorni molto dubbi; parliamo di quanto accade ai tifosi effettivamente giunti in Qatar. Verso coloro che sono il cuore pulsante di questo sport, varie sono le situazioni problematiche che si sono venute a creare. Non solo il divieto di bere birra nei pressi dello stadio, con grande sorpresa dello sponsor FIFA, ma anche il divieto di richiamare a problematiche politiche, vedasi i tifosi iraniani e le problematiche del loro paese, o i richiami alle problematiche di discriminazione di vario genere e tipo. La polizia locale è stata artefice di vari interventi verso tifosi che erano semplicemente vestiti in modo da rappresentare le proprie tradizioni, come ad esempio gli inglesi vestiti da crociati. A tutto questo va aggiunto anche il pessimo servizio interno agli stadi. Un mondiale che ha lasciato quindi molte ombre è che può far riflettere su come non ci sia solo da curare il campo di gioco, ma tutti i servizi correlati alle varie tipologie di clientela. La domanda da farsi è: non ci si è curati della cosa per superficialità o perchè non interessava agli organizzatori?
Nel primo caso sarebbe grave e dimostrerebbe come il Qatar non fosse preparato alla manifestazione (alcuni manager occidentali parlano effettivamente di alcune lacune organizzative evidenti ), nel secondo caso si evidenzierebbe come il Qatar non debba essere coinvolto per manifestazioni di questa portata, senza prima cambiare mentalità. Il cliente deve essere messo a suo agio per poter essere testimone di una festa piacevole e poter parlare bene dell’evento e dei luoghi in cui il megaevento viene svolto. In questo caso, accadrà l’esatto contrario.
Perchè è stato permesso tutto questo? Per meri calcoli economici, il calcio è un business e ben lo spiega questo articolo di Calcio&Fiananza. Un tentativo di riabilitazione mediatica mondiale a suon di denari, il risultato non è stato certamente secondo le attese, ma questo non sembra essere un problema per il Qatar.
Valutazione perfetta! Il sentiero del calcio strutturato come evento mondiale ha troppe falle dovute ad una voluta ( a mio parere ) dipendenza dal voler incamerare quote e finanze oltre ogni limite, fino al punto di creare surreali discrepanze insostenibili tra l’etica dello sport ed il mondo degli affari. E’ indubbio che la scelta del Qatar come paese ospitante abbia denotato la debolezza della Fifa sul piano valoriale. O meglio, la predominanza non é piú il valore calcio come sport ma l’esclusivo valore finanziario