L’Arabia Saudita è certamente uno Stato che risulta controverso per noi occidentali.
Molte cose sono discutibili relativamente ai diritti umani, all’ambiente e ad altre tematiche che sempre di più stanno diventando di prima importanza per europei e nord americani.
Per rendere tutto più ovattato e accettabile per noi, per rendere l’immagine saudita lontana dall’omicidio di persone sgradite come Kassogi o sulle restrizioni imposte alle donne, lo Stato Saudita ha cominciato a investire in modo molto importante nello sport, come si evidenzia in questo articolo di S&F.
Non una febbre temporanea, quella del calcio legata alla possibile assegnazione di Mondiali futuri, ma qualcosa che è parte di una strategia di comunicazione per generare appeal. I campioni e lo sport ne sono il vettore.
Niente di nuovo, già i romani usavano il “panem et circenses”, il passare del tempo non ha cambiato le basi, semmai sono cambiati gli strumenti. Il digitale ha permesso di comunicare con il mondo e gli eventi ora sono per una platea molto più vasta di Roma o del suo impero.
Ma la responsabilità di questo successo è anche dell’Occidente, ha ragione in questo video Guardiola, i club di calcio che si lamentano sono gli stessi che vendono a peso d’oro i propri campioni senza problemi. Piangono di una disfatta dello spettacolo del proprio sport ma non rifiutano le offerte esagerate e fuori mercato che vengono da quel mondo. Vespasiano ci ricorda che “il denaro non puzza”.
La domanda quindi viene spontanea, quale etica effettiva c’è dietro lo sport di vertice? Perchè è difficile credere a un campione o a una realtà sportiva che parla di una causa benefica quando per coerenza avrebbe dovuto scegliere altri lidi e non agevolare una realtà controversa. Vale per il calcio, ma anche per gli altri sport, per il molto denaro si chiudono gli occhi su aspetti ben più importanti.
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